competenze legali

DIPENDENTE IN INFORTUNIO SVOLGE ALTRA ATTIVITA’ LAVORATIVA O SPORTIVA

“LA VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DEVE SSERE PROGNOSTICA IN ASTRATTO”.

La Cassazione, con la sentenza n. 27656 del 30 ottobre 2018, affronta, ancora una volta, il tema dello svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per malattia o infortunio.
L’argomento non è certamente una novità, ma resta sempre attuale e dibattuto nelle aule dei Tribunali, anche per la delicatezza della materia.
Le sentenze sono numerosissime e l’orientamento dei Magistrati, ripreso dalla sentenza in oggetto, sempre più chiaro.

 

Tra le precedenti pronunce ricordiamo, anche per la curiosità del fatto, la sentenza n. 10647 del 2017.
La vicenda riguardava un dipendente che, assente dal lavoro per infortunio, aveva partecipato a due partite di calcio, ritardando di fatto la propria guarigione.

I Giudici della Corte di Cassazione, nel confermare le pronunce di primo e secondo grado, avevano ritenuto pienamente legittima la risoluzione operata dal datore di lavoro alla luce della gravità della condotta tenuta dal dipendente che, nonostante “la distorsione della caviglia destra”, aveva partecipato a “due partite calcistiche di un ‘campionato Amatori”, pregiudicando così la guarigione e quindi allungando i tempi di ripresa sul lavoro.

Sul punto, a fronte delle difese del ricorrente, la Corte ha specificato altresì “la partecipazione a due gare calcistiche, anche ove fosse stata dimostrata la limitatezza della presenza in campo, durante la malattia per distorsione della caviglia era tale da comportare il pericolo, secondo una prognosi ex ante, di aggravamento dei postumi della malattia in considerazione dello sport praticato (calcio)”.

La condotta assunta dal lavoratore, poiché in contrasto con lo stato di infortunio, è stata ritenuta dai giudici di legittimità “in grado di minare alle fondamento il rapporto fiduciario tra datrice e lavoratore”.

Per quanto al lavoratore vada tutta la solidarietà del sottoscritto in quanto appassionato sportivo, occorre qui sottolineare il ragionamento utilizzato dai Magistrati; lo stesso ragionamento, ancor meglio delineato, si trova infatti alla base della sentenza del 30 ottobre 2018.

Il fatto riguarda un lavoratore, vittima di infortunio sul lavoro, al quale il medico specialista aveva prescritto un periodo di riposo con tutore e ghiaccio di 15 giorni e che, durante tale periodo, aveva invece svolto un’attività quotidiana, documentata da indagine ispettiva disposta dalla società, sia pure con il supporto del tutore, non rispettosa delle indicazioni contenute nella prescrizione sanitaria.
La società aveva quindi deciso di procedere al licenziamento del dipendente.

Il lavoratore impugnava il licenziamento contestando la sussistenza della menzionata giusta causa di recesso, evidenziando che, nel caso di specie, il comportamento da lui posto in essere non aveva, di fatto, pregiudicato la sua guarigione, come si evinceva dal fatto che egli era prontamente rientrato in servizio al termine dell'infortunio.
Rigettata la domanda in primo grado, il lavoratore proponeva ricorso alla Corte d’Appello.
La Corte, investita della questione, rigettava la domanda ritenendo che lo svolgimento di attività quotidiana integrasse la violazione dell’obbligo di diligenza che incombe sul lavoratore; lo stesso infatti, dopo l’infortunio, avrebbe dovuto rispettare le prescrizioni mediche ed osservare un periodo di riposo.

La Corte, tuttavia, accertava anche l’insussistenza della giusta causa di licenziamento, giudicando la sanzione applicata non proporzionata rispetto al comportamento del lavoratore sul presupposto che La Consulenza Tecnica Medico legale avesse escluso l’aggravamento a causa dello svolgimento di attività nei giorni successivi all’infortunio.
Su questo presupposto il lavoratore si determinava a proporre ricorso per Cassazione ritenendo che la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede fosse stata valutata elaborando un giudizio “in astratto” ex ante, piuttosto che un giudizio “concreto” ex post, secondo cui, non avendo recato alcun pregiudizio al processo di guarigione con l’attività contestata, si sarebbe dovuta escludere la violazione dei suddetti obblighi.

La Suprema Corte, sul punto, ha rilevato che l'eventuale svolgimento di attività lavorativa - da parte di un dipendente - in costanza di malattia o infortunio non è, di per sé, vietato, a meno che da ciò si possa desumere la fraudolenta simulazione di una patologia in realtà inesistente, oppure si possa ritenere che l'attività espletata fosse idonea a pregiudicare o, quantomeno ritardare, la guarigione e, di conseguenza, la ripresa dell'attività lavorativa.
La Corte di Cassazione ha precisato che la valutazione circa la compatibilità tra le condizioni fisiche del dipendente conseguenti alla malattia o all'infortunio e le attività da lui svolte durante l'assenza dal lavoro deve essere effettuata in modo prognostico, cioè ex ante ed in astratto, e non ex post ed in concreto, con la conseguenza che è del tutto irrilevante il fatto che egli sia tempestivamente rientrato al lavoro o meno.
Facendo applicazione di questo principio al caso di specie, la domanda del dipendente è stata respinta, on essendosi lo stesso attenuto alla prescrizione medica di riposo assoluto per 15 giorni, ma aveva svolto, durante l'assenza dal lavoro, attività che – sulla base di una valutazione a priori – apparivano idonee a compromettere la sua guarigione e il rientro in servizio.
La Corte ha ritenuto non rilevante a discolpa del dipendente la mera circostanza che, in concreto, le sue condizioni di salute non fossero peggiorate e che, quindi, egli fosse stato in grado di rientrare tempestivamente in servizio.